Il tabù della diversità intima
Il tabù della diversità intima
Di Marta Mancosu
Quante volte abbiamo sentito la parola tabù? Forse un milione di volte, forse di più o forse di meno.
Non importa, però, perché questa parola così apparentemente semplice, di sole due sillabe beh, ci colpisce molto spesso e tante volte non riusciamo a rendercene proprio conto.
Considerato come “Tutto ciò che è oggetto di un divieto senza fondamento oggettivo o ciò di cui si preferisce non parlare” (https://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/T/tabu.shtml), il tabù ci veste e ci fa sentire sbagliate quando, urliamolo forte, sbagliate non siamo.
Oggi vorrei soffermarmi su un tema particolarmente buio per moltissime donne, se non per il mondo intero, che a fatica vuole accettare che si spendano parole a tal proposito (se poi sei donna e parli di sesso il mondo o fa orecchie da mercante, o ti bolla come “facilona” e “too much”, per non dire altro).
Vi è mai capitato di sentirvi diverse? E non parlo di diversità nel suo senso più generale, bensì di una diversità intima, la stessa che invece dovrebbe farci sentire uniche nel nostro essere donne.
Abituate alla perfezione su schermo e a un’immagine poco reale delle forme, il nostro occhio critico è senza ombra di dubbio un attento osservatore che molto presto riesce anche a diventare un nemico per moltissime di noi. Sicuramente avrete capito dove voglio arrivare e quale riflessione voglio mettere in atto con queste semplici parole. Sì, parlo proprio di lei: la vulva.
Intanto, è sempre bene ricordare che vulva e vagina sono due parti differenti dell’apparato genitale femminile. La vagina, infatti, è la parte interna e non visibile a occhio nudo, mentre la vulva è la parte esterna, ossia quella che comprende monte di Venere, clitoride, piccole e grandi labbra; tutto ciò che si può vedere, in sostanza.
Ecco, quando parlo di diversità intima mi riferisco proprio a questo, mi riferisco alla vulva e alle sue forme, le stesse che, molto spesso, sono considerate da noi sbagliate e/o non-normali.
In mancanza di una buona educazione sessuale, ma più banalmente di una buona educazione nei confronti dell’anatomia umana femminile (e anche maschile, per carità, ma non è questo l’ambito), cresciamo convinte che la normalità equivalga alla perfezione e, ahimè, non c’è concetto più sbagliato e pericoloso.
Per quanto sia un argomento normale e per quanto dovrebbe essere giusto poterne parlare senza imbarazzo né paura di essere giudicate, il tabù ci soffia così forte sul collo da farci sentire inadeguate, sbagliate, potenzialmente giudicabili da chiunque possa sentirci.
È giusto? No. Succede? Sempre.
Alzi la mano chi, come me, almeno una volta nella vita, si è sentita a disagio nei confronti del suo corpo e in particolare della sua diversità intima. Non posso vedervi, ma ho la netta sensazione di scorgere tantissime braccia alzate davanti al pc o allo smartphone.
Alzi la mano chi, come me, si è chiesta: “Perché sono fatta così?” – “È normale che sia fatta così?” – “Mi sento diversa dalle altre, forse c’è qualcosa di strano!?” – “Chissà cosa penserà il mio ragazzo/la mia ragazza” – “Che vergogna, magari con il costume può vedersi qualcosa?” – “Dottoressa, è normale?” e così via.
Alzi la mano chi, come me, ha pensato anche solo una volta di desiderare di essere diversa, di essere normale, di avere “tutte le cose al proprio posto” e che “forse quando sarò grande mi opererò”.
Alzi la mano chi, come me, è andata a cercare sul web quale fosse il nome della sua forma intima: barbie? Tulipano? Tenda? Fiore? Ferro di cavallo? Un corollario infinito di nomi e di etichette che dovrebbero aiutarci a farci sentire appartenenti alla normalità, ma che puntualmente (almeno parlo per me), finiscano comunque per giudicarmi, affibbiando alle mie labbra un nomignolo banale.
Alzi la mano chi, come me, ha temuto il giudizio o il pensiero del/della partner anche solo per un nano-secondo.
Alzi la mano a chi, come me, ci è voluto tempo (anni), per prendere finalmente consapevolezza di sé, lasciando da parte i pensieri, le preoccupazioni e i disagi legati a qualcosa che – teoricamente – dovrebbe essere naturale: la diversità intima. Ci vuole tempo, lo so, ma la presa di coscienza è sempre un grosso passo avanti e ci fa sentire decisamente meglio.
Il viaggio verso questa accettazione di sé stesse, del proprio corpo e della propria diversità è un processo lungo e, sicuramente, la società in cui viviamo non viene in nostro soccorso, dal momento che gli standard cui siamo abituate sono molto distanti dalla realtà dei fatti. Fortunatamente, però, le cose stanno cominciando lentamente (molto lentamente) a cambiare, andando sempre più verso una concezione “normale” del corpo, la body positivity, la diversità normalizzata in tutti i sensi.
Non dobbiamo perciò sentirci inadeguate per come siamo fatte e per come siamo nate: è un lavoro molto faticoso ma anche molto importante, per non dire fondamentale.
Parlarne dovrebbe essere normale, così come dovrebbe essere accettata un’apertura rispetto ad argomenti di questo tipo, senza finire soggette a giudizi, a etichettature e, se vogliamo, anche a shaming solo perché affrontiamo tematiche riguardanti la sessualità femminile, il nostro corpo e “osiamo” pronunciare parole come “vulva”, “labbra” e “vagina” o quando, semplicemente, parliamo di sesso.
Il dialogo, l’ascolto, il confronto diretto con altre persone, sono tutti elementi portanti per far si che questo percorso diventi man mano più lieve e leggero da affrontare.
Insomma, la diversità intima è normale, cerchiamo di capirlo e di tatuarcelo dentro la mente. Non esiste una forma giusta e una forma sbagliata: le forme sono tutte allo stesso modo forme giuste.
Parlarne dovrebbe essere normale, il tabù dovrebbe cessare di respirare e la libertà di sentirci a nostro agio con il nostro corpo dovrebbe regnare sovrana.
La mia speranza? Una maggiore informazione unita a una buona (buonissima) educazione sessuale a partire dalla scuola, ma soprattutto una consapevolezza totale del proprio corpo e del proprio sesso.
Diverso è normale, non dimentichiamocelo mai.
Marta
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