Sessismo, credibilità e rossetti opachi
Sessismo, credibilità e rossetti opachi
Di Marta Mancosu
Avete mai sentito la frase: “Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà”?
Purtroppo, è proprio così, noi donne dobbiamo spesso dimostrare di valere e dobbiamo farlo più degli uomini. Dobbiamo farci valere e per farlo, molto spesso, ci capita anche di rinunciare a piccole cose, le stesse che, a lungo andare, ci fanno anche un po’ perdere noi stesse.
Può succedere a un colloquio di lavoro, quando pensiamo che forse ci converrebbe scegliere quel tailleur o quell’outfit più “serio” per guadagnare una fiducia maggiore e apparire dunque più “professionali” e “credibili”.
Può succedere quando, per esempio, scegliamo un make-up non troppo vistoso per una determinata occasione, proprio perché forse non è il caso di apparire così tanto se vogliamo essere prese in considerazione e non giudicate per l’aspetto estetico.
E allora perché, soprattutto in ambito lavorativo-professionale, accade continuamente questo?
Perché una donna non può essere presa sul serio per quello che svolge solo perché, ad esempio, va a lavoro con rossetto rosso e tacchi a spillo? Qual è esattamente la correlazione tra vestito/make-up e competenza lavorativa? E perché, poi, “te la cavi bene, per essere una donna”, dovrebbe essere un complimento? Non lo è, non lo è mai, ma purtroppo sembra ancora impossibile che una donna possa svolgere lavori propriamente riconducibili all’universo “maschile” e possa anche farlo bene.
Ma non solo, perché questo stereotipo vale sempre, in ogni occasione che comporti un lavoro. Non so come, ma ho la netta sensazione che a molte di voi sia successo, almeno una volta, di ricevere complimenti per l’aspetto curato, per la camicetta, o ancora, che vi abbiano chiamate con nomignoli, vi abbiano fatto battutine e apprezzamenti (anche discutibili) sul vostro fisico. Per non parlare, poi, della mano sulla spalla o sulla schiena per farvi capire quanto siete state “brave”… ma immagino che nessuna, o poche di voi, abbia mai ricevuto un commento concreto e onesto sul lavoro svolto.
Ci ritroviamo sempre a dovere renderci credibili agli occhi di chi ci guarda e di chi ci ascolta, dobbiamo sempre non essere frivole (perché alle donne che lavorano non deve piacere il trucco, i vestiti e l’intimo sexy. Da una mamma, poi, queste cose uno non se le aspetta!?!) ma comunque dobbiamo essere curate (ma non esagerate) e se poi, lavoriamo in ambiti tecnologico-scientifici o siamo incapaci, o siamo delle nerd trasandate.
Il lavoro è il grande buco nero dentro cui il sessismo si diverte a farci acrobazie e a tuffarcisi con un doppio carpiato con avvitamento che nemmeno alle Olimpiadi! Il mondo del lavoro (e si parla di ogni professione) è la dimostrazione di quanto ancora la strada verso la parità (sia salariale, ma ancora prima UMANA) sia lunga e tortuosa, ma soprattutto ci fa capire che noi, da sempre, riceviamo un trattamento diverso in quanto donne.
Ce lo dice il mondo del cinema, dove nei film accade che la protagonista (una BELLA ragazza BIONDA e STUPIDA, perché lo stereotipo vive da sempre dentro la società, da quando nasciamo), studentessa di legge all’Università, diventa subito lo zimbello di tutto il college e dopo degli studi legali, facendo affogare la sua bravura e la sua competenza dentro quell’infinito buco nero.
Ce lo dice la televisione, ce lo dice la comunicazione mediatica, dove una Ministra è giudicata solo per il suo rossetto rosso e il suo fisico da bikini in spiaggia (è risaputo che di solito ci si avvolga nella lana merino per prendere il sole) e non effettivamente per il suo operato politico; o quando, poi, ospite in certi programmi, non ha il tempo di rispondere alle domande a lei rivolte che i conduttori, subito, le parlano sopra incalzando con il solito tono da “spiegone” (mansplaininge dove trovarlo).
Ce lo dicono i titoli dei giornali, quando anche in occasione del Festival di Sanremo cercano di acchiappare click puntando solo e soltanto sugli outfit corti e trasparenti delle cantanti in gara, o su quel top che accidentalmente è sceso durante l’esibizione. Il commento alla performance? Non pervenuto.
Sapete però chi ci dice che il problema è oggettivamente serio? Il Global Gender Gap Report. È la realtà, è un pugno sullo stomaco che ci butta addosso la verità che viviamo ogni giorno della nostra vita.
È triste, perché il Global Gender Gap Report del 2020 ha visto l’Italia al 117esimo posto per quanto riguarda la partecipazione economica e le opportunità, mentre per il potere politico ci è toccato il 44esimo posto, uno sotto il Burundi.
Sapete qual è stata la percentuale di donne sotto la categoria “Legislatori, alti funzionari e dirigenti”? Il 27%, contro il 73% degli uomini.
Sapete qual è stata la percentuale di donne in parlamento? Il 35.7%, contro il 64.3 % degli uomini.
Sapete qual è stata la percentuale di donne a occupare posizioni ministeriali? Il 27.8%, contro il 72.2% degli uomini.
La realtà dei fatti è questa e dobbiamo ammettere che non sta migliorando. A contribuire a questo non miglioramento ci sono ovviamente le discriminazioni di genere, gli stereotipi di ogni tipo, i giudizi e i pregiudizi su come siamo fatte, su che cosa facciamo, su come parliamo, su cosa mettiamo in ufficio, su quanto siamo “aggressive” quando prendiamo posizione, su come sia impossibile raggiungere le vette più alte sul lavoro (glass ceiling), pur avendo gli stessi meriti e le stesse competenze (se non di più). Un non miglioramento, perché una donna non può lavorare tra i motori e le turbine e, quando lo fa, lo fa sempre peggio di un uomo.
Potrei stare qui a elencare decine di altri esempi, ma il punto centrale rimane uno e uno solo: di sessismo e stereotipi di genere non si smette mai di parlare; è il buco nero dentro il quale cascano tutti e tutte perché, purtroppo, capita spesso che i commenti, i giudizi e i pregiudizi, arrivino proprio dalle donne contro le altre donne. A ogni modo, lo sappiamo, questo grande buco nero trova le basi nei segni di una società fondamentalmente e incredibilmente maschilista e sessista (e spesso affermare questo fa ancora molta paura).
Quindi che fare? Forse stiamo solo vivendo un bruttissimo incubo e al suono della sveglia tutta questa maledetta fatica sarà finita!? Magari…
Per ora, però, ricordate che se ti verranno a dire che “hai più palle tu di loro che sono uomini” beh, non ti stanno facendo di certo un complimento. Quello, purtroppo, è solo sessismo benevolo.
Ora, se non vi dispiace, vado a spacchettare i miei nuovi rossetti opachi sorseggiando gin tonic e nel frattempo continuo anche il mio saggio sulla fisica quantistica e la teoria ondulatoria sperimentata da Feyman. Cheers!
Ps: LOVE SEX, HATE SEXISM.
Marta
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