CATCALLING
CATCALLING: METAFORA O REALTÀ?
Di Marta Mancosu
Catcalling: cat + calling = chiamare il gatto.
L’articolo potrebbe concludersi così, in realtà. Una sola parola e il suo letterale significato potrebbero esaudire ogni spiegazione e ogni racconto ma, poiché si tratta di un argomento molto discusso e a me molto vicino, tenterò di aprire qualche vecchia ferita insieme a voi.
Mi piacerebbe che il significato letterale della parola fosse anche il significato concreto del suo uso; magari si stesse chiamando il proprio gatto o la propria gatta... magari.
Il catcalling, come ormai chiunque sa (e se non è così, questo è il momento di scoprirlo), è un fenomeno molto diffuso che indica tutta quella serie di apprezzamenti, di parole, di presunti complimenti, di fischi e di altre volgarità rivolte nei confronti delle donne da parte di uomini sconosciuti. Tutte, almeno una volta nella vita, hanno subito catcalling.
Purtroppo, però, questo tema è ancora molto sottovalutato nonché preso alla leggera dalla maggior parte delle persone e della Istituzioni; ci sarà sempre chi ti dirà che stai esagerando, che sono solo complimenti, che non ti si può proprio più dire nulla, che se sei vestita provocante è normale che gli uomini ti fischino scannerizzando ogni singola parte del tuo corpo, che fatti una risata che è meglio, che non c’è bisogno di arrabbiarsi o di essere così acida.
Succede però che il catcalling sia a tutti gli effetti una molestia e, come tale, debba essere denunciata (in Francia, ad esempio, è considerato reato con multe che vanno dai 90 ai 1500 euro, a seconda della gravità della molestia stessa).
Perché è una molestia? La risposta si trova in una parola: consenso.
Sì, perché senza consenso scompare anche la nostra libertà e la nostra libertà di sentirci sicure.
Per un consenso eliminato, per una libertà tolta e una sicurezza che se ne va, vi è la comparsa di un sentimento che prevale su tutto il resto: la paura.
Sì, perché il catcalling fa questo, il catcalling ti priva della tua stessa libertà e ti rende insicura, ti fa sentire in pericolo: ti fa sentire sbagliata.
Ricordo perfettamente tutte le volte in cui, passeggiando da sola o in compagnia di amiche, ho sentito alle spalle: “Ciao bella” – “Mamma mia” – “Bellezza” – “Dove vai bellissima?” – fischi, sguardi languidi e radiografie al mio corpo. Ecco, in quei contesti, NON c’era consenso, il MIO CONSENSO.
Non volevo ricevere quel tipo di apprezzamenti, non volevo sentirmi dire quanto fossi bella e sexy per loro, non volevo che mi si fischiasse alle spalle, non volevo che, per l’ennesima volta, mi si dicessero parole che io non avevo richiesto.
Tralasciando il fatto per cui, se decidi di rispondere in modo fermo: “Che troia che sei”. Ma non solo.
Bologna, tanti anni fa. Cammino in una delle vie principali della zona universitaria in compagnia di una mia amica (o forse ero da sola? Non ricordo, è passato del tempo), pieno giorno, pieno di persone. Sentivo che dietro di me ci fosse qualcuno che con passo felpato in qualche modo mi stesse seguendo; pochi minuti dopo mi si affianca e comincia a insistere che somigliavo tantissimo a una sua cara amica, quanto era bella lei, quanto ero bella io e, mentre diceva queste cose, si avvicinava sempre di più. Gli dissi che no, non ero la sua amica e che non volevo continuare la conversazione.
Anche il mio paese è stato protagonista di situazioni spiacevoli, purtroppo. Anche nel posto che io reputo più sicuro degli altri posti (proprio perché è il mio posto), ahimè, non mi sono sentita al sicuro.
Quella campana di vetro in cui pensavo di essere immersa ha in realtà tante crepe sulla superficie; quella “bolla di sapone” – come direbbe una mia cara amica – giorno dopo giorno trova aria da ogni parte, rischiando di collassare su se stessa e buttare via quella sicurezza che pensavo fosse indistruttibile.
Il mio paese, una serata estiva, un bar, una bevuta nella mano e quattro chiacchere tra amiche. Devo ordinare da bere al bancone e mi sento più di uno sguardo addosso, ma faccio finta di nulla. Ordino, prendo il mio gin tonic ed esco. Pochi minuti dopo mi ritrovo gli stessi sguardi addosso, ma faccio finta di nulla. Ammetto che il mio tempismo non è mai stato dei migliori e, indovinate un po’, devo andare in bagno. Mi alzo, salgo, vado e, quando torno e vado per sedermi al tavolo, sento commenti e apprezzamenti su di me da parte di questa coppia di uomini adulti (potevano essere mio padre o mio zio, non scherzo): “Wow…principessa…” – “Vuoi da bere?” – “Che bella che sei”. Silenziosa e totalmente a disagio ma anche fortemente incazzata, mi siedo.
È capitato a me ma è capitato anche ad alcune mie amiche, sempre da parte di uomini adulti che pensano di essere gentili e carini, senza rendersi minimamente conto di essere molesti. “Che taglia di seno hai?”, chiede uno alla mia migliore amica, ma potrei stare qui altre dieci pagine a raccontare.
Ecco, secondo voi, in questi esempi, c’era il mio consenso? Secondo voi, ero contenta di quelle situazioni? No. Me le sono andate a cercare? No.Che cosa ha spinto questi uomini a comportarsi in quel modo? Perché lo hanno fatto? Ahimè, e qui arriva il passaggio più complesso, entra in azione il cosiddetto privilegio.
Ciò che spinge gli uomini a dire certe cose e a comportarsi in un determinato modo verso le donne che incontrano per strada (ma non solo, ovviamente), è il privilegio che loro stessi hanno e che molto spesso faticano ad ammettere.“Non tutti gli uomini sono così”, starete pensando adesso – “Io non ho mai detto o fatto certe cose”, continuerete a confermare imperterriti. Ora, questa frase non trova in sé alcun senso e alcuna giustificazione rispetto a quello che accade, che ci accade. Tu potrai essere l’uomo più perfetto del mondo, colui che non ha mai molestato nessuna donna in nessun modo, colui che si allontana da un tale atteggiamento ma ricorda bene che sei proprio tu il primo a dovere prendere coscienza di che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato. Potrai essere l’uomo perfetto, ma poiché la perfezione non esiste, sei proprio tu che devi aggiustare il tiro e, quando il tuo amico molesta verbalmente una ragazza che passa per la strada, fermalo, correggilo, prova a fargli capire che quelle parole sono offese e NON vanno bene.
Provate a mettervi nei nostri panni e provate a capire che si può cambiare, che quelle parole sparate senza motivo ci destabilizzano, ci fanno sentire a disagio, ci scombussolano, ci fanno sentire inferiori e indifese. Avete questo privilegio, ma non significa che abbiate per forza anche una colpa: agite per migliorare, agite per modificare, per correggervi e per correggere chi è come voi.
Il contesto e il consenso sono le due colonne portanti di tutta questa faccenda: i complimenti sono complimenti nel momento in cui la mia reazione non mi destabilizza e nel momento in cui sono felice di ricevere degli apprezzamenti perché il contesto in cui mi trovo lo permette ed è per me zona sicura.
“Ciao bella” – “Che bel culo” sono esattamente la stessa cosa e cercare di minimizzarne il senso è un po’ come nascondere la testa sotto la sabbia, confermando ulteriormente l’azione di un potere e il desiderio, in un certo senso, di volere – anche solo per un secondo – farti sentire a disagio o pensata sessualmente.
So per certo di non essere la sola, siamo in tantissime e ogni storia è prova di quanto ancora ci sia da lavorare insieme.
Raccontare, intanto, è già un bel passo avanti.
Marta